Qualche giorno fa leggevo un pensiero veloce su un social. Uno di quei post con immagini molto accattivanti che attirano l’attenzione.
Il pensiero ho scoperto essere di Gianni Rodari*, il quale si interroga sul significato di felicità.
In particolare, cerca il significato sul dizionario e non si accontenta dei termini “pienamente contento per lungo tempo”. Anzi si pone delle domande importanti:
Ma come si fa ad essere “pienamente contenti”, con tutte le cose brutte che ci sono al mondo, e con tutti gli errori che facciamo anche noi, ogni giorno dell’anno? […] La felicità dev’essere per forza qualche altra cosa, una cosa che non ci costringa ad essere sempre allegri e soddisfatti (e un po’ stupidi) come una gallina che si è riempita il gozzo.”
Continua:
Forse la felicità sta nel fare le cose che possono arricchire la vita di tutti gli uomini; nell’essere in armonia con coloro che vogliono e fanno le cose giuste e necessarie. E allora la felicità non è semplice e facile come una canzonetta: è una lotta. Non la si impara dai libri, ma dalla vita, e non tutti vi riescono: quelli che non si stancano mai di cercare e di lottare e di fare, vi riescono, e credo che possano essere felici per tutta la vita.
Questa frase mi ha fatto pensare al mio lavoro, perché spesso mi trovo di fronte a persone autistiche che si domandano come fare per essere felici, per trovare un po' di serenità, per avvicinarsi a quella scioglievolezza di atteggiamenti che vedono nelle altre persone. Gli stessi genitori mi chiedono come fare per rendere felice il proprio figlio e accompagnarlo nella sua vita, che vedono come una scalata infinita di ostacoli.
E se una volta rispondevo con le frasi da manuale rispetto a procedimenti, analisi delle emozioni e dei pensieri, ricerche di rinforzi e attività motivanti (tutti termini che sicuramente molti esperti conoscono e anche molti famigliari) … ora adotto una tecnica diversa.
Chiedo alle famiglie di ragionare su come sono arrivate alla felicità. Chiedo alle persone autistiche di osservare la vita altrui e provare a ipotizzare come siano arrivate a quella felicità che loro vedono.
In entrambi i casi, sottolineo come la felicità sia per tutti un momento fugace e veloce. Mentre la vita è costellata per tutti di problemi, di incastri, di scalate e discese… di quella lotta nominata da Gianni Rodari.
Spesso mi viene risposto: “E ma per i neurotipici sembra più facile a vederli”.
E qui, di solito, esorto a pensare a come le persone imparino a mettere maschere per nascondere la vera sofferenza… perché parlare di essa per noi (oserei dire italiani) è un’ammissione di colpa, è un dire apertamente che non ce la si è fatta. E poi scatterebbero i consigli non voluti e non desiderati e verrebbe a mancare l’ascolto e l’accoglienza.
Esorto anche a ragionare sulla ricarica di energia (affrontata in un post precedente), sottolineando come per una persona autistica la ricarica può essere il chiudersi a bozzolo tra le coperte del letto tanto morbide e accoglienti, mentre per altri può essere lo stare tra persone amiche. Il risultato? Che la tecnica aiuta a placare la propria emozione e a tornare ad una giusta temperatura emotiva.
La vita io la descrivo come una curva in continua oscillazione: con scalate da fare, vette conquistate, discese tranquille o ripide, momenti di stallo e altrettante salite.
La fisica in questo ci viene in aiuto. Le energie vengono, infatti, sempre disegnate come delle oscillazioni più o meno forti e intense, con alti e bassi e stalli.
E credo fermamente che la felicità sia proprio questa oscillazione continua di energia. Un’oscillazione che richiede fatica ripetuta, impegno e tenacia.
Come fare per imparare a stare e seguire queste oscillazioni?
Vivendo la vita, affrontando le situazioni e trovando soluzioni e strategie. Quelle stesse ci aiuteranno la volta successiva e ci renderanno più abili e pronti alla salita che sopraggiungerà dopo.
Sicuramente le sfide possono essere diverse tra neurotipici e neurodiversi, ma a parere mio non ci sono situazioni inferiori rispetto ad altre. Penso sia più corretto confrontare l’energia che ci si mette e l’impegno. Quanta tenacia si è adottato, quanta stanchezza si è accumulata e quanto è stato bello poi ottenere quel momento che, anche se fugace, ci ha fatto sentire felici.
Unica cosa che mi allontana, anche se di molto poco, dal grande scrittore e pedagogista è legittimare che a volte ci si sente stanchi e la scalata viene posticipata. A volte non ci si sente pronti e si pensa di non avere ancora gli strumenti per scalare. In entrambe le situazioni è corretto fermarsi, pensare e accogliere le proprie emozioni prima di iniziare una lotta che magari ci può travolgere e far arrestare per qualche tempo.
Ecco perché, prepararsi, comprendere come si scala e si lotta, cosa è necessario e magari chiedere aiuto diviene fondamentale. Soprattutto se le scalate divengono talmente grandi da farci sentire impotenti.
Insomma, prepararsi alla lotta per la felicità!
Come?
Le modalità possono essere le più differenti.
Nel mio lavoro (basato su un mix di tecniche cognitivo comportamentali, una spruzzata rudimentale di analisi transazionale e pratiche di meditazione) analizzare l’intreccio e legame di pensieri, emozioni e azioni è fondamentale. Come importante è trovare strategie per affrontare la situazione, studiare le alternative possibili, organizzarsi e comprendere l’obiettivo e le tappe che portano ad esso. Pensare a cosa è necessario per ricaricare l’energia, soprattutto quando la lotta richiede molto tempo.
Tradurre il tutto con schemi, tabelle o altre modalità adatte al funzionamento delle persone è l’altro step. Rendere fruibile, comprensibile e facile da ricordare il tutto.
E poi lasciare la persona misurarsi con la scalata, con la sua vita, ed essere spettatrice sempre in accoglienza e senza giudizio.
Sotto questa nuova luce e con spunti differenti spero di avervi stuzzicato.
Quindi ora vi pongo nuovamente la domanda.
Voi siete felici?
*Gianni Rodari, Il libro dei perché.
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