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Immagine del redattoreSimona

Autistica? Non ci credo

Avete mai incontrato una donna autistica?

Scommetto ricorderete quella bambina o ragazza con difficoltà particolarmente evidenti, ma non ricorderete una ragazza/donna autistica ad alto funzionamento. Forse quella bambina bizzarra che faceva molte domande e non finiva mai di parlare? Ma forse non era autistica.


Lavoro da più di dieci anni con persone autistiche e posso dirvi che in realtà ce ne sono di queste donne. Ma per vederle veramente nella loro essenza dobbiamo impegnarci davvero di più.

Vi chiederete il perché e questo va ricercato nell’estrema plasticità del cervello umano, una caratteristica che a volte aiuta, a volte complica le cose.


Donne autistiche ad alto funzionamento, o nella vecchia dicitura Aspergirls, hanno in sé due competenze eccezionali che consentono loro di poter sopravvivere al mondo “normale” con dei costi elevatissimi.


Da un lato la grande CAPACITÀ DI OSSERVAZIONE.

Passano la vita, fin da quando sono piccolissime, a osservare tutte le persone che le circondano. Ne studiano il modo di parlare, di atteggiarsi, di comportarsi, persino di salutare e sorridere, il modo di vestirsi e di truccarsi.

Attraverso questo studio sociale, acquisiscono informazioni per arrivare loro stesse a comportarsi, vestirsi, esprimersi come fanno gli altri nella vita di tutti i giorni.

Perché lo fanno?

Perché in questo modo sentono che possono essere maggiormente accettate e perché colmano nel contempo le difficoltà che sentono avere quando stanno all’interno delle relazioni, soprattutto nell’esprimere le proprie opinioni ed emozioni. Fin da quando sono piccole hanno percepito come il loro essere sia ampiamente lontano da quello indicato come “normale” e per questo studiano gli altri per avvicinarli sempre di più.


Dall’altro lato vi è la competenza di mascherarsi e nascondersi sempre più: il MASKING.

Attraverso questo enorme studio sociale e soprattutto mettendo in pratica quello che osservano, arrivano a mascherare loro stesse. Si nascondono sotto maschere e maschere differenti.

Sento fastidio per il rumore che la luce al neon produce? Meglio che adotti un controllo estremo di me stessa ed evitare di allontanarmi o tapparmi le orecchie. Evito di essere vista come strana e incomprensibile.

Il disagio per la persona nuova arrivata nel gruppo di amici e con cui non so come parlare? Mi sforzo e la saluto. Magari le chiedo anche come si chiama e cosa fa. Poi la lascio parlare e provo a resistere all’ansia, alle troppe informazioni e mi controllo.

I miei compagni vogliono andare a vedere il nuovo film horror appena uscito? Accetto e dico di sì, non posso permettermi di dire che poi avrò gli incubi per tutta la notte e che l’audio sarà talmente alto e improvviso che faticherò tantissimo a concentrarmi.

Sono agitata per la presentazione del progetto di lavoro? Mi raccomando non devo dondolare. Non si fa. Nessuno lo fa e io non lo devo fare, altrimenti cosa penseranno gli altri?


Queste due competenze hanno un risvolto assolutamente positivo. Grazie a loro queste donne sopravvivono al mondo “normale” studiando, avendo relazioni, lavorando, sposandosi, etc.

Ecco perché difficilmente vi ricorderete di una donna autistica. Perché si sarà mimetizzata molto bene tra le persone che avete conosciuto nella vostra vita.


Purtroppo, c’è anche un risvolto negativo, il cui peso è però davvero importante.

Il loro KI, la loro essenza vitale, ciò che le rende uniche, viene rinchiuso in una parte talmente interna di loro stesse che non sanno più dove sia finita.

Per la maggior parte delle bambine, ragazze e donne che seguo svelare questi due meccanismi porta inevitabilmente alla domanda “Ma io chi sono veramente?”. Perché dopo tanti anni di osservazione, di studio e di mascheramento, davvero non si sa più chi si è.

Ma porsi la domanda è l’inizio dello svelamento di sé stessi. Si inizia a togliere qualche maschera, si iniziano a comprendere i motivi di alcune emozioni provate e di alcune situazioni vissute. Si inizia a vedere la sofferenza e la fatica. Si studiano i modi assolutamente individuali per incanalare questo controllo attraverso interessi specifici, attività piacevoli e utili e, soprattutto, attraverso la costruzione di significati per comprendere se stesse e, successivamente, il mondo attorno.

Questa è la parte più entusiasmante del mio lavoro. Assistere allo sbocciare dell’essenza vitale, delle potenzialità delle persone, del loro modo di porsi e di vivere ora consapevolmente scelto.


Consiglio che do a tutti. Se incontrate una di queste donne e se con coraggio condivide con voi il loro essere autistica…. mi raccomando… non utilizzate stereotipi o minimizzazioni. Non usate la fatidica frase: “Autistica? Impossibile. Parli, hai un lavoro. Non ci credo”.

Perché in quella comunicazione che vi viene fatta è insita anche la sofferenza di quella persona, dovuta ai due meccanismi di cui vi ho parlato.

Quindi accogliete questa dichiarazione, perché è sintomo di essenza!

Siate aperti alla neurodiversità, perché è ciò che fa anche di voi degli esseri viventi!


“Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo” Tiziano Terzani

Se vi è piaciuto il post, vi ha incuriosito o interessato, lasciate un commento.

Al prossimo mercoledì!



Credits: vecteezy.com

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